Chioggia.

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Canal Vena, ponte Zitelle.

martedì 12 maggio 2009

Letture


Giddens Anthony, Runaway World. How Globalisation is Reshaping our Lives, Profile Books, 1999 (trad. it. di R. Falcioni, Il mondo che cambia. Come la globalizzazione ridisegna la nostra vita, Il Mulino, Bologna 2000).

Anthony Giddens è direttore della London School of Economics ed è uno dei più influenti sociologi del nostro tempo.

In questo libro breve ed essenziale, l'editore il Mulino ha raccolto cinque conferenze nelle quali Anthony Giddens si propone di descrivere e ordinare la sensazione che il titolo Runaway World vuole evocare, quella di vivere in un mondo che cambia e sfugge al nostro controllo. Come cambia il mondo che cambia? Il sociologo inglese, attraverso la discussione dei cinque temi proposti (globalizzazione, rischio, tradizione, famiglia, democrazia), indica a colui che definisce 'cittadino cosmopolita' (occidentale) alcuni temi e linee di riflessione.

Il tratto essenziale della globalizzazione, un complesso insieme di processi che opera in maniera contraddittoria e conflittuale, consiste principalmente nel fatto che essa influenzi così gli avvenimenti su scala mondiale come la vita quotidiana; si tratta di un ordine che cresce con modalità anarchiche e accidentali, di un fenomeno politico, culturale e tecnologico, oltre che economico, che si è diffuso soprattutto attraverso lo sviluppo della comunicazione elettronica, la cui esistenza “non è solo un modo per trasmettere più velocemente notizie o informazioni [… ma] altera la struttura stessa delle nostre vite, ricchi e poveri insieme” (pag. 24). Questi processi trasformano e cambiano nazione, famiglia, lavoro, tradizione e natura che divengono “istituzioni-guscio”, che non aderiscono alla società globale cosmopolita: l'impotenza che proviamo, dunque, non è il segno di fallimento individuale ma riflette l'inadeguatezza delle nostre istituzioni.

Centrale per comprendere l'era in cui viviamo, secondo Giddens, è il concetto di rischio, che corrisponde a “scelte azzardate che sono attivamente perseguite in vista di possibilità future” (pag. 37). Se infatti la nostra epoca non è più rischiosa o più pericolosa di quelle precedenti, viviamo in un mondo in cui i rischi creati da noi stessi sono tanto minacciosi quanto quelli che provengono dal mondo esterno, basti pensare alla minaccia del disastro ecologico o al declino dell'istituzione matrimoniale. Il “rischio costruito” (manufactured risk) caratterizza la nostra società; in essa sono pochi gli aspetti del mondo fisico che non sono stati toccati dall'intervento manipolatorio dell'uomo. Gran parte di ciò che consideravamo naturale non lo è più. Come mostra l'esempio del matrimonio, in passato assimilabile a uno stato naturale, oggi chi si sposa pensa in termini di rischio allo stesso modo di chi, più in generale, compie azioni ed è portato ad assumere decisioni e non può più accettare semplicemente le scoperte degli scienziati, essendo in grado come chiunque altro di riconoscere il carattere mutevole della scienza.

Il nocciolo della società cosmopolita globale che sta emergendo, prosegue l'autore, sta nel fatto che le istituzioni pubbliche e la vita quotidiana si stanno in pari modo liberando dalla tradizione. Se in passato ci fu una simbiosi tra modernità e tradizione (laddove famiglia, sessualità e divisioni fra i sessi rimasero pesantemente sotto il controllo della tradizione e del costume), per effetto della globalizzazione e della diffusione della modernizzazione la tradizione si mescola con la scienza in maniera interessante e strana.
Il fatto di essere costretti a prendere decisioni provoca l'estendersi dell'idea e della realtà della dipendenza, che oggi può essere scatenata da ogni settore di attività, perché oggi ogni attività è meno strutturata dai costumi e dalle tradizioni di quanto non fosse un tempo. Anche il fondamentalismo, che consiste nel rifiuto del dialogo in un mondo la cui pace e sopravvivenza dipendono proprio da questo, pone seri interrogativi: possiamo vivere in un mondo in cui nulla è più sacro? La risposta negativa di Giddens lo porta a sostenere la necessità della diffusione di una morale cosmopolita mossa dalla passione.

Il dibattito sulla famiglia, continua l'autore nella quarta conferenza, potrebbe sembrare distante dalla questione della globalizzazione, eppure i rapporti familiari stanno cambiando dappertutto, e ovunque troviamo tendenze parallele. Perciò, afferma Giddens, quella che riguarda le relazioni è una rivoluzione globale. Gli elementi di fondo della vita sessuale in Occidente sono cambiati in maniera essenziale: la sessualità, non più associata alla riproduzione, è diventata qualcosa da scoprire e modulare, e la coppia ha assunto importanza centrale. Matrimonio e famiglia sono diventate “istituzioni-guscio”. Il matrimonio, uno stato naturale che stava a significare l'assunzione di un impegno, oggi non è più l'elemento caratterizzante della coppia, che invece è unita da un legame di intimità alla base del quale è necessaria quella che il sociologo definisce una relazione pura, “un processo di fiducia attiva che induce un soggetto ad aprirsi all'altro” (pag. 78). Questo nuovo tipo di relazione è implicitamente democratica: essa infatti è un rapporto fra uguali basato sulla comunicazione, sulla discussione e sul dialogo e non sul potere arbitrario, la coercizione o la violenza. Se dunque la parità e l'istruzione delle donne sono le più importanti forze che promuovono la democrazia e lo sviluppo economico nel terzo mondo, il persistere della famiglia tradizionale o di certi suoi aspetti in molte parti del pianeta è più preoccupante del suo declino.

Infine Giddens concentra la sua attenzione sulla democrazia “forse l'idea più potente e stimolante del Novecento” (pag. 86), un sistema che implica la libera competizione fra partiti politici per le posizioni di potere profondamente influenzato, in epoca recente, dall'avanzata della comunicazione globale. La democrazia, in quest'epoca del mondo che cambia, subisce un destino paradossale: se da una parte infatti essa si estende in tutto il mondo, dall'altra emerge proprio al suo interno una delusione crescente nei confronti dei sistemi democratici. La rivoluzione nelle comunicazioni ha prodotto una cittadinanza più attiva e più riflessiva di quella di un tempo che rende, lo abbiamo visto, le istituzioni tradizionali incapaci di rispecchiare la realtà e rispondere alla complessità delle relazioni. Nei paesi democratici dunque, sostiene Giddens, c'è bisogno di una democrazia democratizzante, di un approfondimento della democrazia. La “democratizzazione della democrazia” assumerà forme diverse nei vari paesi a seconda delle loro caratteristiche, in modo particolare il decentramento del potere, l'adozione di misure anti-corruzione e il rafforzamento della cultura civica: “non dobbiamo pensare che esistano soltanto due settori della società, lo stato e il mercato, cioè il pubblico e il privato: in mezzo sta la società civile, con la famiglia e altre istituzioni. […] La società civile è l'arena dove gli atteggiamenti democratici, come la tolleranza, devono essere sviluppati” (pag. 94/95). Il nostro mondo mutevole non necessita di meno governo ma di più governo, e questo può essere garantito solo dalle istituzioni democratiche.

Nell'analisi di Giddens, che privilegia gli aspetti politico-culturali della globalizzazione a scapito di quelli economici, la sfera civica sembra essere il luogo in cui si liberano le potenzialità democratiche dei cittadini cosmopoliti. Resta tuttavia da chiarire come l'estensione e la diffusione di quelle che Giddens definisce 'istituzioni-guscio', siano in grado di democratizzare la democrazia, dopo aver assunto, come fa l'autore stesso, che queste istituzioni producono intrinsecamente ineguaglianze. L'esempio della famiglia è da questo punto di vista significativo: una volta riconosciuto che l'istituzione matrimoniale costituisce una naturalizzazione delle disuguaglianze che interessano donne e bambini nel mondo sviluppato e non, Giddens propone l'estensione del matrimonio alle coppie omosessuali, come se per rendere migliore il contenitore fosse sufficiente cambiarne il contenuto. La questione di come sia possibile liberare le relazioni dal potere, dove la soluzione che vede i rapporti fondarsi sull'idea astratta di una relazione pura non pare incidere significativamente sulla questione delle disuguaglianze, resta dunque aperta; il femminismo contemporaneo ha infatti avuto la cura e il merito di mostrare come esse trovino spazio proprio nella definizione dei confini tra pubblico e privato, confini che l'analisi di Giddens pare confermare. Infine è in pari modo significativo notare che, nonostante il sociologo attribuisca grande importanza alla rivoluzione mediatica che trasforma le modalità di relazione nel mondo moderno, la sua analisi si limiti tuttavia all'influenza della televisione sulla società, la quale, se ha il pregio di diffondere informazione abbattendo i confini territoriali e politici, definisce una modalità comunicativa a senso unico e, a detta di Giddens stesso, banalizzante. Una maggiore attenzione alle possibilità offerte dalla comunicazione elettronica, che il sociologo non sembra prendere in considerazione, potrebbe essere utile ove si cerchino di definire relazioni paritarie fondate in primo luogo su una condivisione di conoscenze e in cui il sapere sia patrimonio di quella che il filosofo francese Pierre Lévy chiama, con una bella espressione, intelligenza collettiva.


Francesca Di Donato

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